mercoledì 8 luglio 2009

Piano d'Assetto: verso la certezza delle regole.

Affacciati sulla Capitale e sulla Campagna Romana, in vista del Tirreno e dei primi contrafforti dell’Appennino, i Castelli Romani sono, da sempre, la meta di turismo locale ed internazionale. Ciò che i molti visitatori italiani e stranieri trovano nei Castelli Romani sono il paesaggio, l’incomparabile bellezza dei centri storici, le numerosissime e preziose testimonianze archeologiche, i monumenti naturali dei boschi e dei laghi, prodotti di qualità, vino in primis, un modello ed un ritmo di socialità ben diverso dal caos e dell’affanno della metropoli.

I Castelli Romani sono un luogo che, a dispetto dell’urbanizzazione dei luoghi e delle prassi sociali, hanno conservato storie, memorie, identità e tradizioni locali. Ma oggi, i tentacoli di Roma, fatti di asfalto, cemento e smog pare vogliano strangolare la nostra terra e le sue genti.

Nel solo decennio 1991 – 2001 Roma ha perduto ben 120.000 abitanti, gran parte dei quali si sono trasferiti in provincia. Questo vero e proprio esodo silenzioso, dove gli immobili costano meno e la qualità dell’ambiente e della vita è superiore, sta portando oramai ad una saldatura territoriale della metropoli con l’hinterland.

Uno dei maggiori quadranti investiti da questo fenomeno è quello dei Castelli Romani, che stanno assumendo il triste ruolo di protesi abitativa di Roma. La popolazione residente nei 17 Comuni castellani è di 337.892 unità, e quindi aumentata di ben 50.064 unità dagli inizi degli anni ’90, con uno spaventoso incremento medio del 20,7%. E questa tendenza continua a crescere senza freni, tant’è che in questa parte del territorio vive il 26% del totale della popolazione della Provincia. I dati sono impressionanti: in un solo anno, dal 2007 al 2008 i tassi di crescita dei comuni si impennano anche del 4,3%, la maggior parte dei Comuni, nello stesso periodo, aumentano il tasso di crescita di oltre il 3%. E nessun Comune subisce neanche la più labile flessione in questa inarrestabile tendenza alla sovrappopolazione. Senza contare che tali dati tengono conto solo in minima parte dell’incremento delle comunità di stranieri, in non piccola parte interessati dal fenomeno della clandestinità e quindi al di fuori di qualsiasi conteggio certo.
Un aumento esponenziale di residenti, quindi, anche a causa dei Piani Regolatori Comunali spesso sovradimensionati circa le reali esigenze di crescita del territorio, piani che disvelano una resistenza a gestire in modo sostenibile il territorio. Tale crescita insediativa produce quotidianamente l’inarrestabile consumo di suolo.

Ma, proprio a causa delle particolari caratteristiche geomorfologiche del nostro territorio, lo sfruttamento dissennato dei suoli sta producendo una vera e propria emergenza idrica: i due laghi vulcanici presenti nel territorio interessato dal Parco dei Castelli Romani si abbassano di oltre 20 centimetri l’anno, nonostante il miglioramento generale della qualità delle acque, e quindi ancora più odiosamente. La diminuzione della piovosità, il mancato ricarico idrico causato dall’eccessiva asfaltazione e cementificazione, l’incontrollata apertura di pozzi da parte delle numerose abitazioni abusive stanno provocando il collasso del sistema idrologico locale, con risvolti drammatici per l’intero equilibrio idrogeologico: basti pensare al fenomeno della fuoriuscita di gas perivulcanici, nelle aree di emergenza di falda lungo l’asse dell’Appia che hanno irrimediabilmente avvelenato e reso sterili i suoli.

Quando 25 anni fa nacque il Parco dei Castelli Romani, fu pensato anche come interlocutore istituzionale forte, in favore delle comunità castellane, nella questione dell’espansione incontrollata di Roma metropoli. Il Parco è senza dubbio il miglior custode e guardiano della qualità della vita delle donne e degli uomini dei Castelli, non solo perché alimenta il polmone verde della zona a sud di Roma, ma anche per le prospettive di sviluppo alternativo ed auto centrato che esso può offrire e perché dalla promozione del Parco discende l’immediata tutela del territorio stesso dei Castelli. Il punto fondamentale è che il parco mette il territorio al riparo delle speculazioni politiche prima ancora che edilizie, perché la sua estensione e funzionalità non dipendono dagli umbratili umori dei singoli Sindaci, ma da una serie di soggetti istituzionali chiamati a cooperare: Comuni, Regione e Provincia col preziosissimo apporto dell’associazionismo.

Oggi questo “cavaliere verde” che vigila sulla nostra qualità di vita rischia di essere accerchiato. Proprio nel momento in cui si vara il piano d’assetto, lo strumento di gestione e promozione economica dell’area naturale protetta, che consente finalmente l’avvio di una nuova fase di crescita e sviluppo autenticamente sostenibile, superando definitivamente il regime di salvaguardia provvisorio, durato 25 interminabili anni, si vanno concentrando una serie di attacchi da parte dei Comuni del Parco, che lamentano una cessione di sovranità sul controllo, in realtà sullo sfruttamento, del territorio.

Tra le maggiori resistenze c’è quella dell’inclusione nel Piano di Assetto dei centri storici, cui si estenderebbe il regime di tutela. Questi insediamenti urbani storici sono un tassello cruciale del patrimonio identitario delle nostre comunità e, in virtù di ciò, sono stati assunti quali beni paesaggistici dal Piano Territoriale Paesaggistico Regionale, il cui Piano d’Assetto non può che conformarsi. La tutela, quindi, di tale patrimonio, ancor prima che derivante dal Piano d’Assetto del Parco dei Castelli, rappresenta la difesa di un bene per l’intera comunità della nostra regione.

Sotto questo profilo, per le Amministrazioni Comunali si prospettano eccellenti opportunità di valorizzarne e promuoverne il valore storico/culturale ed identitario, anche attraverso l’accesso privilegiato, quando non esclusivo a specifici fondi regionali, nazionali ed europei, come quelli disposti nei Piani Europei APQ7, o dalle leggi regionali e nazionali per la promozione dei centri storici. Alcuni Comuni dei Castelli, ad esempio, sono stati recentemente inclusi dalla Regione Lazio nel programma dedicato proprio al recupero e alla valorizzazione dei centri storici; un programma che, complessivamente, ha messo in campo risorse economiche per 11.720.000 euro.

Proprio negli ultimi anni, grazie all’accesso a tali fondi si sono potute avviare opere fondamentali di risanamento igienico/sanitario e di difesa del suolo.

È chiaro: servono capacità di programmazione e progetti qualificati. Serve la capacità da parte di chi ha il diritto/dovere, sancito democraticamente, di governare coniugando le esigenze dei singoli cittadini con quelle collettive della salvaguardia dell’ambiente, della salute e del benessere pubblico e delle economie locali. Serve, in sintesi, un nuovo passo nell’attività di governo locale, che sappia intravedere e cogliere le occasioni di crescita economica sostenibile legate alla capacità di pianificazione che solo la certezza delle regole può dare, invece di diluire e vanificare tutto in favore di miopi e meschini conti da (retro)bottega della politica: quelli per i quali in assenza di regole si può disporre del territorio come di un bene soggiogato a piccoli interessi particolari, nella prospettiva di un facile ritorno in chiave elettorale.

Per quanto riguarda, infine, la questione degli iter amministrativi e delle procedure burocratiche per la concessione dei nulla osta in aree protette, l’entrata in vigore del Piano di Assetto semplificherà la verifica delle attività effettivamente compatibili con il Parco e consentirà di agevolare il rilascio di qualsiasi autorizzazione, senza alcuna necessità di produrre documentazione aggiuntiva. E chi sostiene il contrario o ha una scarsa, se non nulla, dimestichezza con la materia urbanistica delle aree protette o parla in malafede.

Quello della semplificazione amministrativa, quindi, è un obiettivo condiviso, senza che ciò significhi il venir meno delle prerogative dell’Ente Parco di operare tutte le verifiche di congruità in coerenza con gli obiettivi di tutela stabiliti.

Ciò che contraddistingue il ruolo del Parco, in ultima istanza, è il principio di salvaguardia degli interessi collettivi nella loro dimensione più concreta: l’acqua, l’aria, il territorio, la vivibilità dei luoghi, le economie auto centrate; elementi da cui discendono la qualità della vita, il benessere materiale delle comunità, la salute di ciascuna e ciascuno di noi. Rispetto a questo patrimonio pubblico, condiviso, indisponibile ai mutevoli umori della politica il Parco rappresenta lo strumento concreto che declina tutto ciò nelle tante prassi quotidiane.

Nessun commento:

Posta un commento

Lascia qui il tuo commento

archivio