mercoledì 20 ottobre 2010

Organizzare l’identità: l’Area Metropolitana come luogo di azione di SEL.

A partire dagli anni ’60 il paradigma dei rapporti fra i territori della Provincia di Roma (con particolare riferimento a quelli della fascia citeriore) ha subito una drastica involuzione: la crescita della Capitale ha iniziato ad orientarsi sempre più decisamente verso l’esterno, partendo dalla direttrice sudovest, con un marcato tratto espansivo fortemente indirizzato al consumo di territorio. Contemporaneamente i territori della Provincia sono stati forzati ad assumere una progressiva funzione residenziale a servizio di Roma, cui peraltro non ha corrisposto un adeguato ammodernamento delle direttrici di collegamento viario e dei servizi di trasporto pubblico.

Alla crescita dei fabbisogni energetici della Capitale, crescita dettata anche dal mutamento dei modelli di vita, di consumo e di cittadinanza, ha corrisposto una logica di delocalizzazione sia dei siti industriali che degli impianti di produzione energetica, fuori da Roma ma a servizio di essa. Così come la stolida persistenza nel comune di Ciampino, alle porte di Roma, di un aeroporto civile low cost praticamente sopra le teste dei residenti, afferisce alle necessità smodate della Capitale di mobilità economica ed a breve distanza, caricando le municipalità di confine del soddisfacimento delle esigenze di una platea di utenti in larghissima parte romani.

Del tutto analoga la dinamica del ciclo dei rifiuti: le problematiche connesse alla ingente produzione di rifiuti di Roma (sia in senso assoluto che in termini di quote pro capite per imprese, famiglie e persone) ed alla cronica incapacità della Capitale di orientare il ciclo dei rifiuti verso la riduzione, il riciclo ed il riuso, frutto di errate scelte amministrative ormai annose, ha prodotto una lettura del territorio provinciale quale valvola di sfogo per le contraddizioni e le inefficienze della Capitale. L’inceneritore di Colleferro, già esso assolutamente sovradimensionato rispetto le esigenze del territorio che nominalmente è chiamato a servire, ed il progetto di realizzazione di un nuovo impianto per bruciare i rifiuti ad Albano Laziale ci parlano di tutto ciò.

Il Piano Regolatore Generale di Roma licenziato dalla giunta Veltroni rincara la dose, con previsioni di ingente sviluppo edilizio nella città e fuori da essa, in direzione del litorale, dei Castelli Romani e dei territori a nord di Roma: milioni e milioni di metri cubi di cemento nominalmente nel Comune di Roma, ma che afferiranno per ciò che concerne mobilità a servizi sui Comuni di ondine, senza una logica di programmazione di area vasta che tenga conto delle condizioni delle comunità sui quali tale sviluppo edilizio andrà ad impattare.

Questo processo non è scevro, non è altro, dalle forme dell’organizzazione dei soggetti politici: l’esistenza di una soggettività politica del nostro partito che sia tutta ed esclusivamente romana, magari cui affiancare una federazione “ciambella” tanto per salvare una facciata di articolazione politica, riprodurrà inevitabilmente questa dinamica: quella di un partito romano, nel cuore pulsante della politica nazionale che ha margine e poteri per prendere decisioni che incidono pesantemente su tutti i territori provinciali, e di un partito provinciale le cui ambizioni, a quel punto, potranno essere soddisfatte in termini di quote nelle varie liste di candidature, di entrature in punta di piedi nel gotha della politica romana, di assaggi di briciole di potere ma mai di autentica legittimità politica, di piena titolarità a discutere in una sede di area vasta delle questioni di area vasta.
Oltretutto, il paradigma “federazione romana più federazione provinciale” parla di un’organizzazione classica, novecentesca dei soggetti e dei campi di discussione della politica; tradisce il senso di una sorta di coazione a ripetere stantia, di un deficit di futuro nella nostra visione, che non tiene conto che gli stessi paradigmi generali dei rapporti tra Roma e la Provincia stanno mutando. In questo senso il progetto di Area Metropolitana, che è il grande tema dell’immediato futuro della Provincia di Roma, si pone come bivio, come snodo cruciale della nostra idea di politica, che se vogliamo veramente nuova deve porsi il tema della coerenza tra petizione di principio e prassi ed assumere il coraggio anche di introdurre elementi fortemente innovativi. Sta a noi decidere se cogliere le opportunità dell’Area Metropolitana come quelle di un tavolo ampio e plurale, finalmente aperto a tutta la platea degli stakeholders economici, produttivi, occupazionali e politici.

Assumere la complessità del territorio, quindi, deve essere la cifra del nostro progetto politico, culturale e organizzativo.
Prevedere che il cuore della nostra azione sia la Federazione dell’Area Metropolitana di Roma significa assumere fino in fondo la volontà di farsi carico complessivamente delle domande, dei bisogni e delle aspettative di quei cittadini che si identificano come romani. Affianco all’organizzazione, poi serve ancora di più la politica: è necessario avviare una profonda riflessione sull’assetto istituzionale dell’Area Metropolitana - strettamente connessa con la vicenda di Roma Capitale - e promuovere una conseguente, stringente, iniziativa politica.

I modelli di organizzazione di una forza politica sono di per sé elementi che definiscono la politica stessa, le priorità, l’agenda, l’identità. E fin dagli anni ’90 l’identità si trasla sempre più dalla condizione del lavoro e della propria funzione nel ciclo produttivo all’identità territoriale. Questo non è un giudizio, ma un fatto storico. La sinistra, per fare fronte agli effetti più retrivi di questa dinamica sociale, primo tra tutti il razzismo incarnato dalla Lega Nord e da larga parte delle forze fasciste e post-fasciste, deve assumere il fenomeno e dargli una risposta politica, raccogliendo le mille opportunità dello sviluppo locale e della costruzione di comunità multietniche fortemente radicate nell’incontro tra storie umane ricche di diversità.
Queste riflessioni devono caratterizzare e orientare il nostro modello organizzativo: in questo disegno permane forte l’esigenza di un coordinamento tra i municipi di Roma, vero tassello fondamentale nella costruzione dell’Area Metropolitana, che devono vedersi trasferire dal Comune di Roma più ampi compiti e forti poteri, e che nella nostra comunità devono avere una specifica sede di coordinamento dell’azione politica: una Camera dei Comuni, che raccordi l’azione della nostra forza politica sul territorio della città.

Ugualmente forte deve essere il rinnovamento, relativamente alle aree omogenee al di fuori della città di Roma, delle nostre vecchie mappe mentali, frutto di una sedimentazione storica ma non più rispondenti alla realtà del territorio; l’identificazione di sub-aree quali Tivoli, Civitavecchia e Castelli Romani, infatti, non coglie caratteri ambientali, sociali ed economici che sono variati nel tempo e non ci consente di vedere e agire sui tratti specifici che differenziano, ad esempio, la valle del Tevere dalla Valle dell’Aniene, oppure la Valle del Sacco dall’area dei Monti Tiburtini e da quella dei Monti Prenestini, o ancora la zona del litorale a Sud di Roma da quella a Nord del capoluogo o dal comprensorio afferente al Lago di Bracciano. Tutte queste aree necessitano di forme di coordinamento, anche in questo caso come nel caso della Camera dei Municipi di Roma, strettamente legate alle decisioni che vengono prese in sede di Comitato Provinciale e all’azione del gruppo dirigente che opera in sede di coordinamento provinciale. Proprio la necessità di una forte unitarietà di azione fa ritenere che le compagne e i compagni membri del coordinamento provinciale debbano assumersi la responsabilità di coordinare la Camera dei Municipi e le aree omogenee fuori dal capoluogo.

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