martedì 9 febbraio 2010

Tra partiti e movimenti...

Voglio sottoporre alla vostra attenzione le riflessioni del compagno Guglielmo Abbondati sul rapporto fra movimenti e partiti.

Parliamo del tema ancora molto controverso del rapporto tra i movimenti sociali, civici, territoriali e la politica. Un rapporto non privo di forti conflittualità. Tra chi ha scelto l'impegno della militanza civica e sociale, spesso a partire dalla difesa del proprio territorio e chi, nonostante delusioni e sconfitte, ha deciso di praticare ancora il campo della politica nelle forme organizzate dei partiti.

Quando si tratta di scelte coerenti e trasparenti, senza secondi o terzi fini, entrambe rispettabilissime. Eppure questi mondi, spesso distanti e incomunicanti tra loro, quando provano a trovare terreni comuni di confronto e di azione, si trovano a fare i conti con incomprensioni, insofferenze, qualche volta acredine. Non vi è ombra di dubbio che la percezione ricorrente da parte dei movimenti a subire la tentazione egemonica dei partiti, ha qualche fondamento nella storia recente, a partire dal movimento dei movimenti, quello "no global".

E tuttavia permane spesso la consuetudine nel ricercare, in occasione di vertenze difficili come quella del inceneritore di Albano o della Turogas di Aprilia, un'interlocuzione con gli attori della politica, con gli amministratori, con esponenti coinvolti nelle istituzioni. Salvo poi ad individuare proprio in quegli interlocutori disponibili al confronto e all'azione comune, i maggiori responsabili delle sconfitte, quando ci sono. A me pare che l'approccio che muove questo conflitto sia insito nella pretesa, forse giusta, che i politici e gli amministratori hanno il dovere di interpretare e dare risposte ai bisogni che permeano la società e le comunità territoriali. Ma che automaticamente nell'assumere questo compito impegnativo, perdano il diritto di poterlo agire autonomamente come soggetto politico. Tutto questo viene acuito in occasione delle scadenze elettorali e nel periodo antecedente il voto. La campagna elettorale, che dovrebbe essere il momento privilegiato d'incontro tra le diverse rappresentanze a sostegno della formazione più autenticamente democratica della delega, si trasforma in un' eccezionale perdita generale di credibilità per la politica. Tanto da far assumere in qualche caso la decisione, ripsettabile anch'essa, di organizzare autonomamente le proprie rappresentanze civiche.

A differenza dei poteri forti, che sanno sempre scegliere le proprie rappresentanze, spesso trasversalmente, che poi esercitano puntualmente il potere di delega in modo scientifico. Temo che le convenienze e gli interessi che dominano molto spesso i processi di formazione delle decisoni, abbiano in questa condizione sempre maggior successo. Sarà il caso di mettere da parte le diffidenze e inaugurare una nuova stagione di alleanza tra i soggetti sociali e chi si ostina a credere ancora nella "buona" politica.

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