lunedì 13 aprile 2009

L'illuminata signora Marcegaglia.

di Paolo Cacciari.
Confesso che incomincio a perdere la pazienza quando sento Emma Marcegaglia o qualche altro capitano d'industria spiegare - sempre con toni saccenti - cosa dovrebbero fare gli altri per uscire dalla crisi.

Come se le imprese non abbiano preferito comprare titoli sospetti o giocare d'azzardo in borsa piuttosto che investire in macchinari e lavoro.

Anche i nostri industriali hanno contribuito ad alimentare il flusso di denaro vero (quello che ora la presidente di Confindustria vorrebbe avere dallo Stato) verso fondi di investimento fasulli, ma che per lungo tempo hanno garantito ai detentori di titoli di credito interessi favolosi.

Ma non è di queste speculazioni che dobbiamo accusare gli industriali italiani: santi non lo sono mai stati, mentre coloro che hanno mancato ai propri doveri sono state le autorità di controllo, a partire dalle banche centrali e dai ministeri finanziari. Le responsabilità che bisognerebbe attribuire agli industriali non sono d'ordine morale o politico, ma specifiche e circostanziate.

Leggo dall'indagine di un rinomato istituto di ricerca universitario, la Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, che, nonostante la crisi, anche in Italia (in linea con ciò che sta succedendo a scala mondiale, vedi i dati dell'Epia: "un anno d'oro per il mercato fotovoltaico") è decollato il solare.

In particolare, il fotovoltaico per la produzione di energia elettrica ha avuto una crescita di oltre il 150%, passando dai 120,6 megawatt installati a fine 2007 ai 326,8 di fine 2008. Un miliardo di fatturato è il giro del mercato finale, grazie anche ai circa 100 milioni di incentivi pubblici (governo Prodi - Pecoraro Scanio).

Peccato che l'offerta di prodotti sia "sottodimensionata rispetto alla domanda", dice il Politecnico, e che la quota di mercato che le imprese nazionali detengono sia del tutto marginale. Nella produzione e nella vendita del silicio a wafer (dove i ricavi superano il 50%) l'import raggiunge quota 98%, praticamente tutto. Nella produzione degli intermedi (celle e moduli) l'import si mantiene al 62%. Le imprese nazionali sono collocate solo a valle nella filiera, nella distribuzione e installazione, dove i margini di ricavo sono i più modesti.

Da qui il paradosso per cui gli incentivi statali (arrivati tardi e gestiti male grazie alle resistenze dei colossi energetici del petrolio e del gas, Enel e Eni) vanno ad alimentare i profitti di imprese straniere. Pensate che in Germania il solare ha raggiunti un giro d'affari di 56 miliardi di euro, pari quasi alla meccanica elettrica. E la Spagna è andata oltre, mentre si aspetta un boom negli Stati Uniti.

Prima di raggiungere il vertice di Confindustria, la signora Marcegaglia era la responsabile del settore energia e ambiente. Troppe volte l'abbiamo sentita con le nostre orecchie irridere gli ambientalisti, negare le cause antropiche del caos climatico, rifiutare di assumere gli obiettivi europei di riduzione dei gas climalteranti, rifiutare le normative più stringenti e standard più efficienti nelle auto come in agricoltura, nell'edilizia come nelle centrali termoelettriche.

La Confindustria ha sempre difeso lo scandalo dei CIP6, gli incentivi a petrolieri, cementifici e inceneritori, prelevati dalle bollette elettriche degli utenti e dirottati dagli impieghi nelle vere fonti energetiche alternative. Poi è venuto Barak Obama a spiegare al mondo che la ripresa - se mai ci sarà - sarà verde.

Ma per noi forse è già troppo tardi: appuntamento perso per colpa dell'arretratezza culturale di un ceto imprenditoriale infarcito di livore ideologico, privo di una visione generale della società e del mondo, capace solo di spremere il fattore lavoro e di esternalizzare i costi dei danni ambientali provocati da industrie obsolete.

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